Gioacchino da Fiore

Gioacchino da Fiore, nato a Celico intorno al 1145 e deceduto tra San Giovanni in Fiore e Pietrafitta nel 1202, è una figura centrale della storia monastica e teologica medievale. Figlio di un notaio, dopo un pellegrinaggio in Terrasanta, Gioacchino sviluppò una profonda consapevolezza della sua vocazione monastica, che lo portò a entrare nell’ordine cistercense presso l’abbazia della Sambucina. La sua vita e le sue opere hanno lasciato un’impronta indelebile nella tradizione cristiana.

Gioacchino da Fiore

L’inizio della vocazione monastica

Dopo aver vissuto in vari monasteri, Gioacchino assunse la carica di abate a Corazzo, dove rimase fino al 1187. In quell’anno, Papa Clemente III lo esonerò dai suoi doveri di abate per consentirgli di dedicarsi completamente ai suoi studi. Questo periodo di riflessione lo portò a ritirarsi in meditazione sulla Sila, dove condusse una vita eremitica. Qui raccolse attorno a sé alcuni discepoli e fondò l’eremo di San Giovanni in Fiore, dando origine all’ordine florense, ufficialmente approvato da Papa Celestino III nel 1196.

Conflitti e sostegno imperiale

Nonostante i conflitti con i cistercensi, Gioacchino ricevette il sostegno dell’imperatore Enrico VI di Hohenstaufen e di sua moglie Costanza. Questo supporto gli permise di concentrare le sue energie non solo nella redazione delle sue opere teologiche, ma anche nel consolidamento dell’ordine che aveva fondato. La sua produzione letteraria è caratterizzata da opere teologiche e esegetiche significative.

Le opere teologiche ed esegetiche

Tra le opere teologiche più importanti di Gioacchino vi sono il De articulis fidei e il De unitate seu essentia Trinitatis, quest’ultimo in risposta alle idee di Pietro Lombardo, condannate poi nel Concilio Lateranense del 1215. Sul fronte esegetico, le sue opere includono la Concordia Novi ac Veteris Testamenti, l’Expositio in Apocalipsim, e il Psalterium decem chordarum. La sua produzione comprende anche una biografia di san Benedetto e una polemica contro gli Ebrei, il Contra Iudeos.

La visione della storia e la trinità

Il fulcro del pensiero di Gioacchino è rappresentato dalla sua concezione dell’unità e della Trinità di Dio. Non solo riflettendo sull’interiorità del processo divino, ma anche nel modo in cui si manifesta nella storia. Gioacchino teorizzò che a ogni persona della Trinità corrisponde un’era storica: il Padre rappresenta l’epoca prima della venuta di Cristo (il Vecchio Testamento), il Figlio l’epoca di Cristo e della Chiesa (il Nuovo Testamento), e lo Spirito Santo un’epoca futura, quella dello Spirito.

La concordia delle epoche

Gioacchino descrisse una corrispondenza proporzionale tra le tre epoche storiche, dove ogni figura dell’Antico Testamento ha un equivalente nel Nuovo Testamento. Questa idea, chiamata concordia, gli permise di intuire le linee fondamentali della terza età, caratterizzata da suprema libertà, perfetta carità e completa spiritualità. Egli immaginava un ordine religioso perfetto che avrebbe incluso laici, clero e gerarchia ecclesiastica, guidando i fedeli verso la perfezione cristiana.

Profeta di una nuova chiesa

Nella sua visione, la Chiesa della terza età, così concepita, sarebbe stata in grado di affrontare senza paura l’Anticristo e le persecuzioni che lo avrebbero accompagnato, preparandosi al giudizio di Dio. Gioacchino, profeta di questa nuova Chiesa, esercitò un’enorme influenza sui suoi contemporanei, divisi tra avversari accaniti e ardenti seguaci, noti come gioachimiti.

Gioacchino da Fiore rimane una figura fondamentale della storia del pensiero cristiano, non solo per le sue opere, ma anche per la sua visione innovativa della storia e della spiritualità. La sua eredità continua a suscitare interesse e dibattito tra studiosi e appassionati, rendendolo un protagonista indiscutibile del panorama religioso medievale.

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