Oggi vi raccontiamo l’affascinante storia di Nino Martino, il brigante conosciuto come “Il Caccia Diavoli”
“Chi si vò fari surdatu riale
Jisse ‘n campagna cu Ninu Martinu;
A viveri u li porta alle funtane,
Cà appriessu li va l’utru cu lu vinu.”
Nel panorama storico italiano si annoverano numerosi briganti che hanno lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva. Uno di questi è Nino Martino, il brigante meglio noto come “Il Caccia Diavoli”. La sua vita avventurosa vissuta sulle montagne dell’Italia meridionale nel XIX secolo, lo ha reso uno dei briganti più famosi e ambigui del periodo. La sua storia è intrisa di intrighi, violenza e una lotta costante contro i nobili e le forze dell’ordine.
La formazione del brigante
Nino Martino è nato nel 1827 a Rizziconi. Fin da giovane, Nino mostrò una predisposizione a non seguire le regole e fu coinvolto in attività illecite come furti e rapine. Durante la giovinezza, entrò in contatto con gruppi di briganti locali, imparando le loro strategie e tattiche per eludere la legge.
Il Brigantinaggio
Martino iniziò la sua carriera come brigante isolato, commettendo piccoli reati e sfuggendo alle forze dell’ordine con grande astuzia. Tuttavia, presto riuscì a creare una vera e propria banda di briganti, reclutando uomini con cui formò un gruppo temibile. La sua banda, soprannominata “I Diavoli del Sud”, era composta da individui esperti nell’uso delle armi e nell’arte del camuffamento. Le loro azioni erano caratterizzate da una furiosa violenza, terrorizzando i nobili che da sempre sfruttavano i calabresi delle zone rurali.
Il modus operandi di Nino Martino:
Martino era abile nello sfruttare la conformazione montuosa delle sue zone d’azione. Sapeva come nascondersi tra boschi fitti e grotte remote, rendendo difficile la sua cattura da parte delle forze dell’ordine. Innegabilmente temerario, era considerato un avversario sfidante dalle autorità che cercavano di porre fine alla sua attività criminale. La sua fama crebbe in modo esponenziale, trasformando il brigante in una sorta di eroe romantico per i contadini locali, che lo vedevano come un protettore contro le ingiustizie dei potenti.
La fine di “Il Caccia Diavoli”:
Nonostante la sua abilità di eludere la giustizia, la vita di Nino Martino ebbe una fine violenta. Nel 1863, dopo anni di persecuzione da parte delle autorità, Martino fu tradito da uno dei suoi sottoposti. Aveva infatti deciso di tornare dalla madre a Rizziconi e così depose le armi e si rifugiò sulle montagne esortando i suoi a fare lo stesso. Ma i compagni increduli del cambiamento di Martino lo consegnarono alle autorità. Fu raggiunto dai nobili che lo uccisero e abbandorano il corpo sulle montagne coprendolo con delle pietre.
Il corpo intatto
La notizia della morte di Nino corse velocemente e giunse sino alle orecchie della madre che, profondamente affranta, andò con i nobili a recuperare sui monti il cadavere del figlio. Rimosse con le sue mani il mucchio di sassi e, come per incanto, trovò il corpo del suo figlio ancora intatto, bello e roseo, come se fosse addormentato: le ferite sembravano petali di fiori, il suo volto calmo e rassegnato in un’espressione di pace eterna. Il corpo fu poi condotto presso la casa della madre che non ebbe però il coraggio di seppellirlo e lo depose così sotto la grande botte della sua cantina, per poterlo vedere sempre.
Il “Santo”
Dopo dei mesi che il cadavere era stato posto lì, un giorno, la povera donna, non riuscì a spostare la botte perchè pesante e ne rimase profondamente sorpresa, poiché quell’anno non aveva fatto vino; in seguito l’aprì e notò che da essa zampillava invece un ottimo vino, che subito distribuì a chiunque lo richiedesse; notò poi che tale botte si riempiva costantemente, quasi fosse una fontana. Era tuttavia amareggiata, perché non poteva più vedere il volto del figlio, nascosto dietro la botte. Fece dunque chiamare un bottaio per far togliere il tappo della botte e capire quanto vino contenesse: uno spettacolo meraviglioso si presentò agli occhi del bottaio e della vecchia madre: in fondo alla botte era disteso, fresco e intatto, come se dormisse, il corpo di Nino Martino e da una delle sue ferite vicino al cuore era nata una pianta di vite che egli alimentava col suo sangue. Portava sui tralci una miriade di grappoli sempre maturi che si rinnovavano tutte le volte che la donna spillava il vino.
Fu a causa di ciò che a Nino Martino venne in seguito dato l’appellativo di “Santo”, il santo dell’abbondanza, invocato dalla gente quando si calpestano i grappoli dell’uva, perché, attraverso il suo sangue, faccia avere abbondanza del prezioso liquido.
Eredità e controversie:
L’eredità di Nino Martino, soprattutto nella mentalità collettiva delle popolazioni locali, è oggetto di dibattito. Mentre alcuni lo ricordano come un eroe che si è ribellato all’oppressione, altri lo considerano un criminale spietato che ha seminato terrore nelle campagne. La sua figura ha ispirato numerosi racconti e leggende, che si intrecciano con il mito di un bandito dalla grinta indomabile.
Nino Martino, meglio noto come “Il Caccia Diavoli”, ha lasciato un segno indelebile nella storia dei briganti italiani del XIX secolo. La sua vita da brigante, caratterizzata da audacia, violenza e abilità nell’eludere la giustizia, è diventata leggenda nelle in molte zone del Sud Italia. Nonostante il dibattito sulla sua eredità, la storia di Nino Martino rimane un affascinante esempio di come il contesto storico e sociale possa dare vita a personaggi controversi e memorabili.
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Sabina