Il mito di Oreste e Metauro

Oreste è uno dei personaggi più famosi della mitologia greca, protagonista di una tragica vicenda familiare che lo porterà a compiere un matricidio e a subire la persecuzione delle Erinni, le divinità della vendetta. La sua storia è narrata da diversi autori antichi, tra cui Omero, Eschilo, Euripide e Sofocle, che ne offrono versioni diverse e talvolta contrastanti. Tuttavia, c’è un episodio che li accomuna: la purificazione di Oreste nel fiume Metauro, l’attuale Petrace, che scorre nella Piana di Gioia Tauro, in Calabria.

L’antefatto

La vicenda di Oreste ha inizio con la guerra di Troia, il conflitto che oppose gli Achei, guidati da Agamennone, re di Micene e di Argo, ai Troiani, difesi da Priamo e dai suoi figli, tra cui il famoso Ettore. Agamennone era il fratello di Menelao, il cui matrimonio con Elena, la donna più bella del mondo, era stato turbato dal rapimento di quest’ultima da parte di Paride, principe troiano. Per riconquistare la moglie, Menelao chiamò a raccolta tutti i re e i principi greci, che si imbarcarono per la spedizione contro Troia. Tra questi c’era anche Achille, l’eroe invincibile, figlio di Peleo e della ninfa Teti.

La guerra di Troia

La guerra durò dieci anni e vide alternarsi momenti di gloria e di sventura per entrambi gli schieramenti. Il punto di svolta fu la morte di Achille, ucciso da una freccia scoccata da Paride e guidata da Apollo, che colpì il suo unico punto debole: il tallone. Senza il loro campione, gli Achei sembravano destinati alla sconfitta, ma grazie all’astuzia di Ulisse, che ideò il famoso stratagemma del cavallo di legno, riuscirono a penetrare nella città e a darle fuoco, massacrando i suoi abitanti.

Enea


Solo pochi troiani riuscirono a scampare alla strage, tra cui Enea, il capostipite dei Romani, che fuggì con il padre Anchise, il figlio Ascanio e il sacro simulacro di Pallade.

Il ritorno di Agamennone


Agamennone, dopo aver saccheggiato Troia, rapì  Cassandra, la figlia di Priamo, dotata del dono della profezia, ma maledetta da Apollo a non essere creduta. Cassandra, infatti, aveva predetto la caduta di Troia e il destino funesto di Agamennone, ma nessuno le aveva dato ascolto. Il re acheo, ignaro del pericolo che lo attendeva, fece ritorno a Micene, dove lo accolse la moglie Clitennestra. Questa, però, durante la sua assenza, si era innamorata di Egisto, il cugino di Agamennone, che aspirava al trono. I due amanti, approfittando dell’arrivo del re, lo uccisero a tradimento, insieme a Cassandra, e si impadronirono del regno. Solo il piccolo Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, fu salvato dalla sorella Elettra, che lo affidò al re Strofio di Focide, suo parente. Oreste crebbe insieme al figlio di Strofio, Pilade, con cui strinse una profonda amicizia.

La vendetta

Quando Oreste raggiunse l’età adulta, si recò a Delfi, il luogo sacro a Apollo, per consultare l’oracolo. Questi gli ordinò di vendicare la morte del padre, uccidendo la madre e il suo amante. Oreste, pur riluttante a compiere un atto così efferato, obbedì alla volontà divina e si diresse a Micene, accompagnato da Pilade. Qui si fece riconoscere da Elettra, che lo aiutò a introdursi nel palazzo. Oreste, con l’inganno, riuscì a uccidere Egisto, mentre Clitennestra, accorsa sul luogo, implorò il figlio di risparmiarla. Oreste, però, non si lasciò commuovere e la trafisse con la spada, compiendo il matricidio.

La persecuzione

Non appena Oreste ebbe consumato il suo crimine, si sentì assalire da un terribile rimorso e da una follia che gli offuscò la mente. Vide apparire davanti ai suoi occhi le Erinni, le divinità infernali che puniscono i colpevoli di delitti di sangue. Le Erinni erano delle orride creature, con il volto di donna, i capelli di serpente e le mani sporche di sangue. Esse si misero a inseguire Oreste, tormentandolo con urla, frustate e morsi. Solo Apollo, il dio che gli aveva dato l’ordine di vendicare il padre, poté proteggerlo e nasconderlo nel suo tempio. Oreste, disperato, chiese al dio come potesse liberarsi dalle sue persecutrici. Apollo gli rispose che doveva recarsi ad Atene, presso il tribunale dell’Areopago, dove avrebbe avuto un processo equo. Oreste, seguito da Pilade, si mise in cammino verso la città della dea Atena, ma le Erinni non lo lasciarono in pace e continuarono a tormentarlo lungo il tragitto.

La purificazione

Durante il suo viaggio, Oreste giunse in Calabria, nella Piana di Gioia Tauro, dove si trovava il fiume Metauro, l’attuale Petrace. Questo fiume era considerato sacro, perché riceveva le acque di sette affluenti, che simboleggiavano i sette peccati capitali. Oreste, spinto da una voce interiore, si immerse nel fiume, sperando di lavare le sue colpe e di placare le Erinni. Il fiume, infatti, aveva il potere di purificare chiunque si bagnasse nelle sue acque. Oreste, dopo essersi purificato, fondò un tempio dedicato ad Apollo, in segno di gratitudine, e piantò un albero di alloro, a cui appese la spada con cui aveva ucciso la madre.
La spada di Oreste rimase in quel luogo per molti secoli, fino a quando non fu rubata da Annibale, il condottiero cartaginese che sfidò Roma nella seconda guerra punica. Annibale, infatti, credette che la spada fosse un’arma invincibile e la portò con sé in battaglia. Tuttavia, la spada non gli portò fortuna e fu sconfitto da Scipione l’Africano nella battaglia di Zama.

Il processo

Dopo essersi purificato nel Metauro, Oreste riprese il suo viaggio verso Atene, dove fu accolto dalla dea Atena. Questa, per decidere la sua sorte, convocò il tribunale dell’Areopago, composto da dodici giudici ateniesi. Oreste espose la sua difesa, sostenendo di aver agito per ordine di Apollo e per vendicare il padre. Le Erinni, invece, lo accusarono di aver violato il legame sacro tra madre e figlio, commettendo un’azione empia e abominevole. Il processo fu molto serrato e i voti dei giudici furono pari: sei a favore di Oreste e sei contro. Atena, allora, intervenne per dirimere la questione e dichiarò Oreste innocente, in quanto il legame tra padre e figlio era più forte di quello tra madre e figlio. Le Erinni, sconfitte, protestarono per la sentenza, ma Atena le placò offrendo loro un tempio e un culto ad Atene. Le Erinni accettarono la proposta e cambiarono il loro nome in Eumen.

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