Sulle tracce di Re Artù: la leggendaria connessione con la Calabria

Nel cuore della Calabria, tra i suoi antichi tesori nascosti, si cela una storia avvincente che lega le leggende di Re Artù al territorio ricco di misteri e tradizioni millenarie. Attraverso una serie di antichi riferimenti, toponimi enigmatici e suggestioni culturali, emerge una connessione sorprendente che ci invita a esplorare il legame tra la terra calabra e la leggenda del grande sovrano britannico.

Re Artù Calabria


Le radici della leggenda di Re Artù: un’indagine storica nella Calabria

La storia antica della Calabria è avvolta da un velo di miti e leggende, tra cui spicca il legame con la Britannia e la figura di Re Artù. Si narra che la denominazione di Britannia e Brettia derivi da Bretto, figlio di Ercole e progenitore sia dei Britanni che del celebre sovrano arturiano. Tuttavia, l’approfondimento di questa connessione rivela una serie di dettagli affascinanti.

Il primo Artù storico rintracciabile in Britannia sembra essere Lucius Artorius Castus, un funzionario romano la cui esistenza è attestata da un’iscrizione funeraria bretone. Castus, richiamato in soccorso dal re dei Bretoni, Vortigern, per contrastare l’invasione dei Sassoni, rappresenta un nodo cruciale nella trama intricata che lega la Calabria alla Britannia.

Altrettanto significativa è la presenza della X Legio Fretensis, una legione romana composta in gran parte da reclute calabresi. Questa legione fu schierata a Gerusalemme durante l’epoca di Ponzio Pilato e successivamente servì in Gallia e Britannia sotto i comandi di Cesare, Vespasiano e Gallieno.

L’ipotesi che Lucius Castus fosse di origini calabresi trova fondamento non solo nella presenza dei soldati greci della X Legio in Britannia, ma anche nelle leggende celtico-nordiche che identificano Bretto, figlio di Ercole, come il progenitore di Re Artù. Questo legame mitico tra i “Bretti” calabresi e la leggenda di Artù suggerisce una genealogia comune che attraversa le epoche e le culture.

Intrigante è anche il fatto che la leggenda di Re Artù e della Fata Morgana sia stata associata dagli anglo-normanni a un enigmatico “Regno di Locri” e successivamente all’area dello Stretto di Messina. La figura della Fata Morgana, conosciuta come Modron nella tradizione scozzese del Ciclo arturiano, è descritta come la sorellastra di Re Artù, aggiungendo ulteriori elementi al ricco tessuto della leggenda.

La Vergine, la Dea e il culto millenario

A Locri Epizefiri, un tempo si venerava la dea Persefone, regina degli inferi, considerata la protettrice della vegetazione e della rinascita. Il suo culto, intrecciato con la figura della Vergine, si riflette ancora oggi nelle sette abbazie dedicate a Santa Maria della Matina, disseminate nel cuore della regione. Questa connessione tra la dea primordiale e la figura cristiana della Madonna suggerisce un legame profondo con le antiche tradizioni celtiche e mediterranee.

Il Soma, la luna e il mistero del Graal

Nel richiamo alla dea, ai suoi misteri e alla connessione con la luna, emerge un’interessante ipotesi legata al Santo Graal, la leggendaria coppa del sangue di Cristo. Si ipotizza che il Santo Graal possa essere stato associato a una bevanda sacra, il soma, che garantiva l’immortalità e l’estasi agli iniziati. Questo rituale, simile a una comunione mistica, potrebbe aver trovato eco nei misteri della Calabria, dove antichi riti e simboli si mescolano in un ricco panorama di spiritualità e conoscenza esoterica.

Secondo una leggenda, Re Artù avrebbe inviato i suoi cavalieri in Calabria per cercare il Santo Graal, la coppa usata da Cristo durante l’Ultima Cena. Si narra che i cavalieri abbiano trovato il Graal in una grotta nei pressi di Tropea, ma che il tesoro sia stato poi portato via da un misterioso cavaliere che scomparve nel nulla.

Pietra Cappa e i megaliti di Nardodipace

pietra cappa

Secondo alcuni, la vera dimora di Artù potrebbe essere situata nell’Aspromonte, precisamente a Pietra Cappa. Questa località è intrisa di leggende che si intrecciano con la figura di Gesù e con il Graal, la leggendaria coppa simbolica che avrebbe contenuto il sangue di Cristo.

All’interno della cosiddetta “Vallata delle Grandi Pietre” si trova anche una formazione arenaria leggendaria chiamata “Rocca del drago”, per la sua somiglianza con la creatura mitica. Questo dettaglio assume particolare rilevanza considerando che il padre di Artù, Pen-dragon, tradotto letteralmente significa “testa di drago”, e il drago stesso è associato ai simboli presenti sui suoi stendardi.

Nardodipace

Tuttavia, alcuni studiosi suggeriscono che i veri resti della dimora arturiana si trovino nei misteriosi megaliti di Nardodipace, situati sulle Serre calabresi poco più a nord di Pietra Cappa, vicino alle pendici meridionali del monte “Pietra Spada”. A Nardodipace, sono presenti strutture megalitiche sparse in un’area di circa 20 chilometri quadrati, estendendosi anche nei boschi dei comuni confinanti di Serra San Bruno e Stilo. Questi megaliti, costituiti da quarzo e granito, sono simili strutturalmente a quelli trovati in Inghilterra, suggerendo un’antica connessione tra le due regioni.

Il priorato di Sion e il mistero dell’Olmo

Infine, le tracce dei templari e del Priorato di Sion, che portarono con sé il culto mariano e antichi simboli sacri, offrono un’ulteriore chiave di lettura. L’anagramma di “Ormus“, il nome adottato dal Priorato di Sion, si traduce nella lettera M, simbolo zodiacale della Vergine, indicando un’associazione con il culto mariano diffuso in tutta Europa.

Attraverso le tracce lasciate nei testi antichi, nei paesaggi e nelle tradizioni, emerge un quadro complesso e suggestivo che invita a esplorare nuove prospettive sulla leggenda di uno dei più grandi eroi della storia. Sebbene possa sembrare un’ipotesi audace, le coincidenze e le prove accumulate suggeriscono che la verità potrebbe essere più strana della finzione, e che Re Artù potrebbe aver lasciato il suo segno anche nelle terre Calabresi.

Nicoletta Esposito

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